Cucine del ristorante Besame Mucho. Tre ragazze, aiuto-cuoco precarie,
preparano il menù di una serata qualsiasi ma manca il burro e il DìperDì
è chiuso, o magari non è chiuso ma solo trasferito altrove o in pausa
settimanale. Un evento ordinario, fin banale, scatena così nelle tre
protagoniste di questa interessante drammaturgia, che comincia come una
contingenza
esistenziale
per diventare molto di più, una sorta di rincorsa della memoria e
insieme di recupero di identità di cui il cibo e la sua preparazione
costituiscono una specie di riferimento grammaticale, una materia
concreta, sonora con le pentole che battono e i coltelli che tagliano,
ma, soprattutto, psicologica.
Nella cucina di quell'eterodosso
ristorante si inseguono così ricordi, sogni e aspettative di tre ragazze
che vanno a costituire una metafora della contemporaneità, oltre la
percezione generazionale per intercettare un po' di tutti noi.
È una
continua metamorfosi che da passato si fa futuro, atteso ovvero temuto, e
che trova le sue sponde in quella più grande metafora che è il cibo
come nutrimento del corpo ma anche messaggio e segno delle relazioni tra
gli uomini e tra l'umanità e la natura.
Una educazione sentimentale
in cucina ricca di riferimenti narrativi e di corrispondenze talora
assai poetiche, tenuta a bada da una ironia sottile che allontana gli
eventi per renderli più comprensibili, o se vogliamo, stante il
contesto, più “digeribili”.
La drammaturgia così naviga,
inerpicandosi con la giovanile naturalezza dei dialoghi e dei racconti,
tra difesa degli animali, pratiche vegetariane, consumi consapevoli e
pratiche biologiche-ambientalistiche, punti premio e frigoriferi vuoti
di studenti fuori-sede un po' spiantati, mentre sullo sfondo la sana e
avveduta cucina delle mamme e delle nonne casalinghe sembra assumere
nella sua distanza valenze comicamente metafisiche. Fino al saluto
finale e all'appuntamento delle nostre tre ragazze per il giorno dopo,
ovviamente al DìperDì.
Drammaturgia scritta a sei mani da Elisabetta
Granara, Chiara Valdambrini e Roberta Testino, diretta dalla stessa
Elisabetta Granara con le luci di Carlo Cicero e musica di Fabio
Bonelli, in “arte” Musica da Cucina.
In scena con Elisa Occhini e
Sara Allevi, ancora Elisabetta Granara, l'anima del Gruppo di Teatro
Campestre che produce lo spettacolo, un gruppo giovane ma già pieno di
iniziativa e ricco di idee e da cui possiamo aspettarci, pur tra le
mille difficoltà che purtroppo tutti conosciamo, credo ancora molto.
Tutte
e tre brave, infatti, le protagoniste, libere ormai da incrostazioni e
cadute dillettantistiche, e capaci di una gestione della mimica e della
voce ormai matura, con una nota in più per Elisabetta Granara che tra
testo, regia e recitazione mette un segno del tutto particolare sullo
spettacolo.
Visto al teatro parrocchiale di via Lodi nell'entroterra
genovese, nell'ambito del Festival Teatrale dell'Antico Acquedotto
organizzato dal Teatro dell'Ortica, il 24 luglio con un pubblico
soddisfatto che con i suoi molti applausi è riuscito a trasfigurare una
sala “occasionale” in un luogo di vero teatro, come talora non accade
neanche nelle sale “storiche”.